martedì 27 dicembre 2016

MORTA VERA RUBIN “LA SIGNORA DELLE GALASSIE” E DELLA MATERIA OSCURA



 (credits photo: web http://celebiography.com)


Avremmo voluto terminare questo 2016 senza scrivere altri articoli, soprattutto come questo, nel quale salutiamo e rendiamo omaggio ad un gigante del cosmo. Ci eravamo già congedati dai nostri lettori attraverso i social, in attesa del 2017 e della pubblicazione del bilancio di missione di TheCOSMOBSERVER fissato per il prossimo gennaio.
Tuttavia stamane ci siamo svegliati con una notizia che ha scosso tutta la redazione. Si è spenta l’astronoma Vera Rubin (Philadelfia, 23 luglio 1928 – 25 dicembre 2016), “la signora delle galassie” (e delle loro rotazioni), colei che ha scoperto la materia oscura.
Non spenderemo parole per ricordare quanto sia stato enorme il contributo che questo titano ha fornito alla cosmologia e all’astrofisica. Nell’anno domini 2016, dove ci sono donne che continuano a dire che non esiste una parità di genere, mentre a capo della più importante istituzione economica del mondo c’è Christine Lagarde, e alla guida del Paese più influente d’Europa troviamo Angela Merkel, ci piace ricordare che Vera ha ottenuto i suoi risultati scientifici in un momento storico in cui era costretta a cambiare i suoi turni con il marito per poter avere accesso ad un telescopio.
Da divulgatori e appassionati di spazio, desideriamo terminare questo articolo ricordando le enormi difficoltà che hanno fatto di Vera un esempio non solo per le donne, ma per l’interà umanità.
Tra i suoi riconoscimenti, nonostante la grandezza delle sue scoperte, manca il Premio Nobel. Una mancanza che ha il profumo della beffa se si pensa che a Stoccolma si è preferito conferirlo a qualcuno che “è troppo impegnato” per andarlo a ritirare. Ma forse Vera Rubin non ha bisogno di premi, perché le sue intuizioni annichilirebbero qualsiasi altro fattore Umano. Buona nuova visione dell’universo Vera, e grazie.

Emmanuele Macaluso

venerdì 9 dicembre 2016

ADDIO A JOHN GLENN, PIONIERE DELLO SPAZIO



(Credits photo: Nasa)

Comprendere cosa significhi la morte di John Herschel Glenn (Cambridge, 18 luglio 1921 – Columbus, 8 dicembre 2016) significa dover viaggiare nel tempo. Arrivare alla metà del secolo scorso con gli occhi e la tecnologia di quel momento.
Un momento in cui il mondo era diviso in due parti e la sfida tecnologica per lo spazio era anche politica.
Un momento in cui gli astronauti erano qualcosa di più complesso di oggi. Erano uomini, eroi, simboli politici e sociali.
Immaginate le bottiglie di coca cola in vetro, i classici americani degli anni ’60 alla radio e macchine grandi come aerei nelle strade. Immaginate di essere dei bambini che arrotolando un pezzo di cartone immaginando di giocare con una navetta spaziale.
Ora, se immaginate per un attimo di essere quel bambino, e a vostra volta immaginate di essere un’astronauta, sicuramente state immaginando di essere John Glenn. L’uomo dei record.
Membro dei Mercury Seven, i primi sette astronauti della NASA destinati al programma spaziale Mercury, è stato il primo astronauta americano in orbita attorno alla Terra a bordo della missione Mercury-Atlas 6 (MA-6) il 20 febbraio 1962. Ed è stato il più anziano astronauta della storia grazie al suo volo a bordo dello space shuttle Discovery nella missione STS-95 (29 ottobre – 7 novembre 1998).
Glenn ha rappresentato, e rappresenterà per sempre, la vera essenza dell’astronautica. Quella disciplina che ha come scopo il raggiungimento di obiettivi mai sfiorati prima, fatta da uomini in grado di abbattere la barriera del “mai fatto prima”. Sottoposti a rischi non realmente calcolabili e che non potranno mai essere routine.
Non è stato il cinquantesimo o il centesimo astronauta a non sentire il peso del suo corpo, in orbita attorno al nostro pianeta. Lui è stato il primo. Un pioniere. Il simbolo del prestigio e del successo della tecnica e dell’inteligenza umana. Con Glenn non scompare solo un uomo, ma un titano della razza umana.

Emmanuele Macaluso